sabato 28 settembre 2013

Il cortile


L’affaccio è sul cortile interno da cui si vede un trapezio di cielo ritagliato male, tutto sgangherato e spento. La luna non ci viene mai a trovare qui e non si è capito bene il vero motivo della sua latitanza perpetua. Quando scostiamo le tende della cucina entra una luce sbiadita che non arriva neanche a disegnare le ombre. Sembra una pozza bianca di luce piatta. Se osserviamo il cortile oltre le tendine sporche appare un campo di battaglia abbandonato dai soldati, una trincea vuota che si assomiglia alle nostre vite. Qualche ciuffo di verde spunta dal cemento ai lati del muro, sopravvivenze lontane che ogni tanto ci ricordano i nostri passati e tutti quei futuri abortiti dal vento che tira. Sulla colonna c’è il gambo secco di un fiore selvatico e la sua agonia, piegata verso il basso, compare a monito per l’ultimo abbraccio interrotto che ci siamo lasciati alle spalle e ancora brucia di calore. Si raffredderà e svanirà il suo odore stantio, neanche una traccia rimarrà, ricoperto in breve tempo da altri fiori morti e altri abbracci persi. Questo cortile ci sembra il deserto del cuore, appena sta su tra tombini dismessi in una domenica di settembre. Ci sono alcune porte che danno l’accesso alle cantine, una volta erano latrine. L’intero edificio doveva essere signorile, per avere i bagni interni. A guardarlo adesso, come insetto schiacciato su un vetro, fa venir voglia di dormire. Come la sua muffa silenziosa, dura a morire e brutta tanto quanto i nostri sguardi che cadono a terra a cercare qualche briciola di speranza sfuggita alle tovaglie dopo il pranzo. Questa galera dei giorni, questa prigione degli anni che sempre vorrebbe finire, mostrare una svolta tra i mattoni, una via di fuga di sole e che poi continua ad aspettare la notte che arriva puntuale. E non si ricorda mai di avvisare.

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