domenica 26 agosto 2012

Il gatto e Roberto

Il gatto all'uva non ci arriva. Il gatto per arrivare all'uva ha studiato moltissimo, ha fatto anni di gavetta nei giornali, ha scritto pochi articoli centellinando le sue opinioni e sognando un giorno di potersi esprimere, di poter chiaramente contribuire alla Verità del suo paese. Ma un bel giorno è arrivato Roberto. Da quella bellissima e musicale città che è Napoli. Prima pare facesse il pusher o qualcosa del genere poi ha incontrato per strada la figlia di Berlusconi che lo ha guardato bene in faccia e gli ha detto: 'Ecco tu sei perfetto per un progetto editoriale, hai proprio la faccia da intellettuale'! Così, mentre Roberto mangiava l'uva, un paese intero scopriva che esisteva una cosa chiamata Mafia, già apiamente nota nei fascicoli dei magistrati. Ma Roberto cantava, cantava di imperatori già caduti, sia chiaro. Che mica era scemo Giovenale quando si mise a scrivere le sue satire su Domiziano....giustamente attese che Domiziano fosse morto e poi via, con le sue tirate. Roberto da buon osservatore ha imparato dalla storia. Presi in catene i responsabili iniziò a parlare di loro e lì i pesci di questo paese, questo nostro italico popolo, tutti ad abboccare, a plaudere alla sua grandezza. Quando la libertà diventa servilismo, direbbe Tacito....
Orbene dunque, dopo aver consumato tutte le vigne e fattovi imprimere sù il bel marchio Mondadori, Roberto dall'alto della sua volpinea scaltrezza cambia marchio, passa alla sinistra che più si addice all'immagine di intellettuale. La sua uva sarà firmata Feltrinelli. Ma il bravo imprenditore di se stesso capisce che l'onda va calvacata quando c'è vento, così via con il bel programmino televisivo, le sue studiatissime pose da intellettuale e libri, uno all'anno preferibilmente. 
Il nostro Roberto, da italiano qual è, sa bene che l'America è rimasta, anche con il mutar dei tempi, la terra da conquistare e da nuovo Colombo salpa sulla sua Pinta con tanto di reti da traino, ogni pesce ha la sua esca. 
Ed è così che, dopo una notte trascorsa nella grande Mela, si è persuaso che si deve capire quanto la criminalità sta influenzando la crisi. L'ONU ha le prove che la criminalità consente un investimento liquido per le banche utile ad evitare il collasso. 350 miliardi di dollari dal narcotraffico vengono assorbiti nel mercato legale. Grecia e Spagna sono due modelli di paesi che non hanno contrastato le organizzazioni criminali e sono state svuotate dall'interno. La riflessione più importante è che nel 2006 la Banca di Spagna denuncia che le banconote da 500 euro sono scomparse e queste ultime vengono chiamate Bin Laden, se ne parla ma non si vedono. Dalla crisi non si può uscire se non affrontando il problema criminale. Le banche a capitale mafioso sono sempre più potenti, sono l'avanguardia dell'economia. Banche americane hanno confessato ciò. L'Italia può comprendere al meglio questi reati. Chiedere al governo Monti nuovi strumenti per frenare il capitalismo mafioso che farà affondare l'Italia. 
Il giornalista nel New York Times applaude. E Obama già lo vuole come ministro dell'economia. 
Pensare che questa volpe faceva il pusher o qualcosa del genere. Ed ora dà soluzioni economiche che ricevono maggiore attenzione di quelle proposte da economisti di mestiere. Siamo così sicuri che ad essere marcia sia solo l'Italia? O forse ad essere marci sono gli italiani che parlano di economia come se stessero recitando Sheakespere. Essere o non essere? Crisi o mafia?
Intanto la nota marca di Coca Cola ha chiuso i battenti, scalzata sul mercato da un nuovo target di bevande: succo d'uva Saviano. C'è qualche operaio di tale ditta che consiglia di non acquistare il prodotto, pare utilizzino uva marcia.

domenica 12 agosto 2012

quando tutto Questo avrà preso un nome
sapremmo di aver vissuto anni nello squallore.

giovedì 9 agosto 2012

paradiso di_vino

Quando ho aperto gli occhi questa mattina, ho visto sulla parete laterale della mia camera l'ombra del profilo di un albero bellissimo, doveva essere un leccio. Non stetti lì a pensare che la mia camera è al secondo piano di un edificio costruito su terreno franoso, non pensai che l'albero per proiettare l'ombra doveva essere cresciuto nella notte di almeno sei metri. Accettai il dato come si accetta una giornata di pioggia a marzo. Su quel ramo erano sedute tante donne, con i piedi a penzoloni fino a coprire tutta la lunghezza così chè l'ultima quasi sembrava in procinto di cadere giù, tanto era adagiata sul pizzo più estremo. Si chiamavano tutte Marta, mi hanno detto, chi sorridendo, chi un po' musona, chi silenziosa e attenta mentre le altre interloquivano con me. Alcune le conoscevo, non ebbi ostacolo, nonostante il sonno, a riconoscere la Marta della Diceria, con il suo biancore tisico, e quella di Pereira, con le sue bellissime spalle scoperte e quel vestito sempre uguale da anni, persino un po' sdrucito, ma verde ed incrociato sulla schiena. Le salutai ancora sperando di trovare in cucina il signor redattore della pagina culturale del Lisboa che mi porgesse una limonata. Poi mi sono specchiata e lavata la faccia. Un occhio era chiuso ed è rimasto così. In sogno ricordo la puntura di un'istrice sul dito ma poi gli effetti devono essersi estesi. Ma ecco che come apro il giornale capisco perché vedo la metà. Mi si è chiuso per commozione. Mi capitò una volta di restare sorda all'orecchio destro, quando morì nonna. E ora anche l'occhio, subito penso a qualche decesso ma poi di nuovo torna alla mente quell'immagine, di quel ragazzo biondo che piange davanti ai microfoni, che viene sottoposto ad un'inquisizione che mi sembra strano non sentire todo modo e non vedere Bellarmino. Gli porgo la mano ma la telvisione è solo una finta vicinanza e lui anche volendo non potrebbe mai raccogliere tutte le sue lacrime e saltare da questo lato dello schermo. Così accadde che mi si chiuse un occhio, dovrei appuntarmelo per raccontarlo meglio ai miei nipoti quando ne avrò.
Luccica ora il mare, è presto, sono appena le sette e sono scesa in bicicletta. Lo guardo e penso che le vere preghiere l'uomo dovrebbe farle solo a lui, l'unica entità vagamente divina che mi sia mai capitata di incontrare, eccetto il mio professore di filolofia del liceo! Lui somigliava però più a Lenin, questo maestro qui, invece, sembra proprio dio che altrimenti non me lo saprei figurare.


domenica 5 agosto 2012

Rocco alla Rocca

Il paese è strano. Da quando sono tornata a casa non posso non guardati. Dalla mia finestra, mentre leggo, oltre le tende posso seguire con precisione tutti i tuoi movimenti attraverso le vetrate che lasci scoperte. Conto le righe delle tue camicie vecchie, consumate, a righe larghe o con strani disegni antichi, acquistate una ventina d'anni fa in qualche discount. Ti vedo prima sul balcone della cucina, che cerchi qualcosa nel tinello, cerchi qualcosa da fare. Poi ti accendi una sigaretta e fissi la strada, le persone che passano, innaffi i fiori. Oggi li hai già innaffiati cinque volte. Spegni la sigaretta, quasi con rabbia poi torni in casa, cambi stanza. Vedo il tuo passo zoppo spostarsi nel salone. Accendi la televisione e ti togli la camicia, resti in cannottiera bianca. Ora devi avere almeno 75 anni. Ti ricordo giovane, elegante col tuo cappello e mi facevi paura, incutevi rispetto. Poi ti rialzi, sporgi le braccia dal secondo balcone della casa e guardi in giro, ti accorgi di non avere la camicia addosso, torni dentro, la indossi e poi fuori di nuovo. Deve essere un piccolo ricordo di lei, che non ti voleva vedere in cannottiera bianca sul balcone. Lei che non so dove sia e sulla quale non oso chiedere informazioni. Preferisco pensarla chiusa nella terza stanza. quella con le tendine tirate. Preferisco credere che almeno il suo respiro sottile continui a farti compagnia la notte, il giorno e nelle ore lente che passano. Lo sguardo di tutti ti ritraggono come animale in gabbia, senza più padrone. Ma non voglio la conferma, non voglio credere che lei sia soffocata nei suoi 150 chili e che ti abbia lasciato solo qui a fumare sul solaio. Non voglio saperlo questo, io che ancora ti ricordo circondato da nipoti, figli, ma dove sono finiti tutti? Rocco chi ti ha chiuso in questa prigione? Il tempo di ha arroccato in casa.  Ora esci, ti lavi le mani sul primo balcone, ti gratti il gomito a lungo, impegnato in quest'attività corporea che ti distrae e quasi vorresti che lui, quel prurito non ti lasciasse mai. Guardi la mia finestra ma non mi vedi, non sai che sono qui a guardarti e forse non potremmo neanche capirci, la tua lingua di dialetto americano non l'ho mai compresa fino in fondo. Posi una spugna sulla ringhiera, decidi di alzare la tenda da sole, arriva la sera. Ma lei c'è, sono sicura che lei è nella stanza con le tendine tirate, è lì che mi chiama e mi dice di stare attenta agli zingari. Ai loro cani che hanno la rabbia. Una rabbia che non è mai riuscita a contagiarmi, neanche un po', neanche ora che lei non c'è e la sua voce grida nelle nostre orecchie. Guardi il basilico, Rocco, è uguale a ieri. Ti stiri un po' le braccia e ti risali i pantaloni. Ti vanno larghi. Chissà se mangi, chissà da quanto tempo poi. Potrei sapere, ma non voglio chiedere. Lei è nella stanza e starà riposando con qualche cuscino dietro la schiena. Guardi in alto, ecco, forse mi hai vista e ti ho fatto paura, sei rientrato e le tendine dietro di te ancora oscillano.

venerdì 3 agosto 2012

In ritardo, come al mio solito, vengo a sapere che uno dei più cari amici di questo angolo di stracci vecchi e parole inutili se ne è andato. Pietro Atzeni, uno scrittore per davvero, lui, che da anni frequentava questa fiera, dando il suo gentile e cortese contributo, sempre sottile e tagliente, mai banale.
Senza troppe chiacchiere, che immagino non gli sarebbero piaciute, mando un pensiero fino alla sua Cagliari, alla sua amatissima Sardegna.

http://www.pietroatzeni.it/
http://pietroatzeni.wordpress.com/author/pietroatzeni/