mercoledì 16 maggio 2012

Sveglia ad orologeria.

C'è un canale televisivo che questi giorni sta cantando una lunga messa, un po' laica. Una messa persino più lunga di quella della lavanda dei piedi che tu sei lì a mezzanotte con la testa che ti cade, gli occhi che si chiudono, il respiro profondo di qualche vecchio che dietro di te ormai ronfa, eppure non ti viene da abbandonarti al sonno. Un po' ti sveglia, un po' ti scoccia, quel prete. Avresti molte domande da fargli, diverse questioni sarebbero da chiarire, ma le tieni per te e continui ad ascoltarlo. E come un prete che dice bene in questo canale ci sono tante parole, tutte belle, messe a lucido, con la musica giusta, i personaggi giusti ad intonarle, un bel coro attento a non mancare la nota. Un'oasi, si direbbe in tempi grigi in cui la fede non si vede più neanche sulle dita della gente. Parole. Che sono arma, più taglienti di una lama. Personalmente mi hanno sempre scosso i predicatori, ma ancor più chi agisce, invece di parlare. Forse questa bella messa di buoni propositi servirà a svegliare? O tra qualche settimana ce ne saremo già dimenticati come ci siamo dimenticati l'ultimo film visto in tv, l'ultimo talk, l'ultimo pezzo di chiacchiere scelto per riempire il vuoto pre-sonno. Saviani, Fazi, Gramellini e Littizzette, belle parole, lontane, senza alcun dubbio, dall'informare,  per lo meno in grado di infarinare, strappare un po' del pesante copertone sugli occhi, unghiate retoriche e commoventi. Intelligenti sempre.
E si potrebbe anche pensare che quel tonfo nel vuoto che faranno tutte le belle sillabe impilate non sia da addossare ai vari apparati laringo-faringei che le hanno addestrate. Piuttosto ai timpani stanchi di voci lontane, sempre troppo lontane  dalla propria sopravvivenza quotidiana. Non è un caso che la tv stia lì, sfilata di grandi uomini, ma noi sempre su un divano. E prima o poi il sonno arriva.
Chissà che un giorno la sveglia invece di destarci potrebbe farci saltare tutti in aria.

martedì 8 maggio 2012

Festa della mamma


Non capisco da dove venga questo rumore. Sembra quasi che qualcuno stia piangendo. Poso la matita, resto un secondo in ascolto. Un lamento quasi impercettibile. Un pianto, singhiozzi. Mi alzo dal tavolo della cucina e cerco di seguire quel suono per me così stranamente familiare, come se fosse una voce conosciuta.  Ecco che si fa più forte, sembra venire dalla camera da letto. Mi avvicino al materasso. No non viene da sotto il letto. Mi volto e il mio sguardo cade sull'armadio. Mi avvicino. Pare che venga da li. Apro un'anta solo perché nel caso ci sia qualcuno non voglio disturbare questo momento di dolore. E la vedo. Una bambina con un paio di occhiali enormi ed una benda sull'occhio sinistro. E' rannicchiata nell'armadio e piange cercando di non farsi sentire da nessuno, avrà si o no otto anni. Vorrei dirle qualcosa, la saluto con la mano ma come si accorge di me alza la testa e mi mostra con chiarezza il suo volto. Eccomi. Riconosco quegli occhiali, e ora riconosco anche quella voce soffocata. Sono io che piango nell'armadio. La mamma deve avermi sgridata oppure devo aver litigato con mio fratello. Poi penso al giorno. Oggi è la festa della mamma. Ricordo in un secondo che quel giorno piango perché non voglio che mia mamma muoia prima di me. Non posso consolarla. Le passo semplicemente un fazzoletto per soffiarsi il naso e richiudo l'anta dell'armadio. Torno a studiare Gli auguri a mamma li ho fatti stamattina presto. L'ho chiamata prima che andasse alla messa delle undici. Il mio telefono squilla, è un messaggio. Mi alzo di nuovo facendo attenzione a non fare troppo rumore per non disturbarmi mentre piango nell'armadio, perché mi sento ancora singhiozzare, ogni tanto. Il cellulare è sul comodino. E' un messaggio di mamma: come si può essere mamma senza avere i propri figli vicino?
E' una domanda. Senza accorgermene inizio a piangere. Rinuncio in un secondo alla compagnia dei libri, allo studio di persone morte che non conoscerò mai, rinuncio al mio futuro e mi arrampico sull'armadio, per recuperare la valigia, pronta a farla. Cade qualcosa, però. In cucina sento un tonfo. Mi precipito, lì piangendo, appannando gli occhiali da lettura. A terra una delle foto attaccate al muro con lo scotch. Nonna. E' caduta per terra mentre sorrideva sulla spiaggia e io sono in braccio a lei. Siamo cadute insieme vicino al frigorifero.
Balbetto qualcosa ma che non capisco. E strisciando le pantofole torno in camera. Apro l'anta dell'armadio che mi ero premurata di non aprire prima. Entro facendo attenzione a non disturbare me che piango quando avevo otto anni. Chiudo tutto e inizio a singhiozzare cercando di fare meno rumore possibile per non fare accorgere né a mamma né a nonna che sto piangendo.