mercoledì 10 ottobre 2012

Insonnia

Abito al terzo piano del numero 10. Il mio nome è Ugo, vivo qui da 14 anni, esattamente sei giorni, venti ore e due minuti da quando mia moglie mi ha lasciato perché caro insomma io ti amo ma la tua è una malattia seria che va curata e il medico ha chiaramente detto che provoca danni irreparabili alla socialità e alla vita di coppia, poi ti hanno dato anche l'invalidità, cosa vuoi di più dalla vita?
Cosa voglio? Assolutamente nulla. Vorrei dormire, ogni tanto però, anche solo una volta l'anno basterebbe. Io non dormo. Non dormo mai. Faccio altro. Non mi viene mai sonno. E mia moglie per questo mi ha lasciato. Lo stato ha dichiarato la mia mancanza di autonomia con un assegno di 500 euro al mese. Per questo vivo qui. Che costa poco anche se dal muro piove e nel condominio sono tutti pazzi. Vedete il mio vero problema è che non mi sono mai rassegnato considerarmi malato. Mi considero piuttosto un attento ascoltatore, un listener! Non credo che siano molti ad aver ascoltato la notte. Lei ha un brusio silenziosissimo che non può essere confuso con nessun altra mancanza di rumore. Le sono andate ad ascoltare ovunque, le sue note. In Bangladesh, Messico, Perth. E' sempre lei. Una volta mi trovavo a Pechino, erano le unidici di sera ed avevo appena iniziato ad comtemplare la notte, i sospriri del sonno degli altri, ero in una piazza deserta ed il cielo era bianco, denso come volesse cadere giù e ricoprirci tutti. Una guardia si avvicinò chiedendomi di andare via poiché il coprifuoco non tollera la presenza umana nelle strade dopo le ventidue. Nel mio inglese stentato gli dissi che non potevo, che io avevo il foglio del medico, che avevo bisogno della mia dose notturna, dovevo bearmi di lei, del buio, dei suoni, altrimenti avrei avuto una crisi, sarei andato in ospedale e il tesserino sanitario non lo avevo, cosa che avrebbe comportato diverse giornate in ambasciata trascorse su una panchina agonizzando un respiro ampio e pieno di notte. Mi guardò, mi prese per tossico, forse non mi ero espresso bene oppure credette che stessi parlando in senso metaforico. Mi chiese di tornare in albergo, mi diede una pacca sulla spalla e mi disse: I'm sorry, bro. I'm sorry bro? I'm sorry un ceppa testa gialla, non capisci che sono venuto qui a posta per stare su questa piazza al buio dopo che i lampioni sono stati spenti, dopo che le macchine hanno smesso di girare, per guardarla?
Era un testa di cazzo. Mi venne a prendere al giro successivo di ronda e stetti tre giorni in ambasciata prima di essere rispedito a casa con tanto di assistente sociale del posto che mi accompagnò al gate 4 e mi disse: zai jian! Si, vi giuro mi disse proprio zai jian! Che dire? Ma speriamo di no! Le ho detto! 
Ora viaggio solo d'estate. Si sa che il clima turistico aiuta e mi consente di celarmi meglio, di non sembrare un pazzo punto e basta. Qui invece la notte mi pare di averla consumata da tutti i lati ma non mi basta ancora. Alle quattro dal mio balcone si sente quel brusio padano, solo lui si sente, tutte le luci delle case spente. Qualche volta Renato del piano di sotto si sveglia, esce sul balcone a fumare. Lo guardo assorto che sputa il fumo sul nero dei piani di sotti, sul nulla che lo circonda. Il vento spinge quel fumo in alto e arriva fino a me. Mi supera e va più in su fino a disegnare una trapunta damascata che si perde nel fondo grigio della nebbia. 

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