mercoledì 12 settembre 2012

Due bianchi giorni di settembre

Ho fatto la valigia. Ho lasciato sotto il letto tutti i pensieri quotidiani, le bollette, gli impegni atti alla sopravvivenza, addio, vi saluto: inizia la mia settimana estiva. Quella del sole scolorito e degli ombrelloni chiusi, dei pescatori a ritirare le reti sulla spiaggia, quella dei gabbiani che se li vedi a riva sta per piovere, quella delle rondini che non fanno solo primavera, ma fanno casa. Sotto la mia finestra, quella di casa mia, della mia casa autentica, della casa dove dormi anche sul terrazzo che i ladri non ci sono e se arrivano gli offriamo un caffè, sotto la mia finestra le rondini ci sono sempre, che qui l'inverno non arriva mai. Ho preso solo i libri, qualche penna e sono partita. A nascondermi su questo scoglio che si specchia in un mare  trasparente, risciacqua, tranquillo, risciacqua se stesso, e poi ancora una risacca, che gorgoglia, un granchio che scappa. Ed era una barchetta di carta che passava, sul filo dell'orizzonte della mia vasca da bagno, dietro la ferrovia vecchia di quando ci si faceva il bagno con le cuffie in testa e il fischio del treno quasi nel mare. Poi l'hanno portato via quel pezzo di binario, troppo pericoloso così a picco sugli scogli. Con una barchetta di carta lo hanno porato a casa, fino alla foce del del Tago che si allarga a farsi mare. In quella città bianca e trasparente che è semplicemnte una casa. Questa casa, fatta di scogli e di una lingua strana che non si sa, si parla e basta, si grida tra i tetti bianchi, tra le barche che sbattono sulla battigia che c'è alta marea e i gabbiani volano a riva, le nuvole si fanno più nere, il telefono squilla, il treno parte ed è già il tempo di tornare a giocare a carte. 

Con la vita, ma il mio avversario è un baro, lo so.
Cambia le regole ogni volta che può.

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