Il paese è strano. Da quando sono tornata a casa non posso non guardati. Dalla mia finestra, mentre leggo, oltre le tende posso seguire con precisione tutti i tuoi movimenti attraverso le vetrate che lasci scoperte. Conto le righe delle tue camicie vecchie, consumate, a righe larghe o con strani disegni antichi, acquistate una ventina d'anni fa in qualche discount. Ti vedo prima sul balcone della cucina, che cerchi qualcosa nel tinello, cerchi qualcosa da fare. Poi ti accendi una sigaretta e fissi la strada, le persone che passano, innaffi i fiori. Oggi li hai già innaffiati cinque volte. Spegni la sigaretta, quasi con rabbia poi torni in casa, cambi stanza. Vedo il tuo passo zoppo spostarsi nel salone. Accendi la televisione e ti togli la camicia, resti in cannottiera bianca. Ora devi avere almeno 75 anni. Ti ricordo giovane, elegante col tuo cappello e mi facevi paura, incutevi rispetto. Poi ti rialzi, sporgi le braccia dal secondo balcone della casa e guardi in giro, ti accorgi di non avere la camicia addosso, torni dentro, la indossi e poi fuori di nuovo. Deve essere un piccolo ricordo di lei, che non ti voleva vedere in cannottiera bianca sul balcone. Lei che non so dove sia e sulla quale non oso chiedere informazioni. Preferisco pensarla chiusa nella terza stanza. quella con le tendine tirate. Preferisco credere che almeno il suo respiro sottile continui a farti compagnia la notte, il giorno e nelle ore lente che passano. Lo sguardo di tutti ti ritraggono come animale in gabbia, senza più padrone. Ma non voglio la conferma, non voglio credere che lei sia soffocata nei suoi 150 chili e che ti abbia lasciato solo qui a fumare sul solaio. Non voglio saperlo questo, io che ancora ti ricordo circondato da nipoti, figli, ma dove sono finiti tutti? Rocco chi ti ha chiuso in questa prigione? Il tempo di ha arroccato in casa. Ora esci, ti lavi le mani sul primo balcone, ti gratti il gomito a lungo, impegnato in quest'attività corporea che ti distrae e quasi vorresti che lui, quel prurito non ti lasciasse mai. Guardi la mia finestra ma non mi vedi, non sai che sono qui a guardarti e forse non potremmo neanche capirci, la tua lingua di dialetto americano non l'ho mai compresa fino in fondo. Posi una spugna sulla ringhiera, decidi di alzare la tenda da sole, arriva la sera. Ma lei c'è, sono sicura che lei è nella stanza con le tendine tirate, è lì che mi chiama e mi dice di stare attenta agli zingari. Ai loro cani che hanno la rabbia. Una rabbia che non è mai riuscita a contagiarmi, neanche un po', neanche ora che lei non c'è e la sua voce grida nelle nostre orecchie. Guardi il basilico, Rocco, è uguale a ieri. Ti stiri un po' le braccia e ti risali i pantaloni. Ti vanno larghi. Chissà se mangi, chissà da quanto tempo poi. Potrei sapere, ma non voglio chiedere. Lei è nella stanza e starà riposando con qualche cuscino dietro la schiena. Guardi in alto, ecco, forse mi hai vista e ti ho fatto paura, sei rientrato e le tendine dietro di te ancora oscillano.
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