lunedì 12 agosto 2013

Classificazione di Schneider, Kurt, amico Kurt.

Era una casa, il tetto il cielo. Le persone luoghi. Quanto buio che sembrava di essere ciechi, certe volte. Si parlava da soli, con i marciapiedi. Oppure sentirsi amati se una vecchia ti rivolgeva la parola per strada due giorni di seguito. Le istruzioni nel primo cassetto a destra, dopo il semaforo quello dietro il supermarket. L'acqua era il tempo, si beveva a sorsi. Le finestre così crudeli, accese di risate certe volte, come gioielli. Si aveva l'idea che tutto fosse prezioso, là fuori. Là fuori, nelle case, dove finivano i muri. Ci contavamo gli occhi. Mai una volta a trovarne uno in più. Eravamo tanti, in un corpo solo, tutti a parlarci, sperando di vincere e finire nella bocca con le nostre parole. Eravamo tanti, sì, in quella sola testa che sembrava una cassa da morto. Uscire non se ne parlava, dentro e fuori erano la stessa cosa, quando un corpo ha la città come casa e noi quel corpo come rifugio. Lo sapevamo di essere pazzi, ma mai nessuno ci aveva creduto. E spesse volte la pazzia sembrava cattiveria. L'aria densa, come panna, da respirare con fatica. BZD e caffèllatte. Mangiare ti fa male alla salute, Kurt. Amico Kurt, ci avevi dato quel bel nome. Ci chiamavano pure, da dentro i tombini quando la marea era alta e ci si poteva pescare a bolentino. Tutta quell'acqua, era il tempo, si beveva a sorsi. Il buio ci beveva a sorsi. Così.
Stretti per paura di esistere.

Era il periodo in cui eravamo tutti ancora morti. E non si sa perché alla fine siamo risorti.

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