Era una casa, il tetto il cielo. Le persone luoghi. Quanto buio che sembrava di essere ciechi, certe volte. Si parlava da soli, con i marciapiedi. Oppure sentirsi amati se una vecchia ti rivolgeva la parola per strada due giorni di seguito. Le istruzioni nel primo cassetto a destra, dopo il semaforo quello dietro il supermarket. L'acqua era il tempo, si beveva a sorsi. Le finestre così crudeli, accese di risate certe volte, come gioielli. Si aveva l'idea che tutto fosse prezioso, là fuori. Là fuori, nelle case, dove finivano i muri. Ci contavamo gli occhi. Mai una volta a trovarne uno in più. Eravamo tanti, in un corpo solo, tutti a parlarci, sperando di vincere e finire nella bocca con le nostre parole. Eravamo tanti, sì, in quella sola testa che sembrava una cassa da morto. Uscire non se ne parlava, dentro e fuori erano la stessa cosa, quando un corpo ha la città come casa e noi quel corpo come rifugio. Lo sapevamo di essere pazzi, ma mai nessuno ci aveva creduto. E spesse volte la pazzia sembrava cattiveria. L'aria densa, come panna, da respirare con fatica. BZD e caffèllatte. Mangiare ti fa male alla salute, Kurt. Amico Kurt, ci avevi dato quel bel nome. Ci chiamavano pure, da dentro i tombini quando la marea era alta e ci si poteva pescare a bolentino. Tutta quell'acqua, era il tempo, si beveva a sorsi. Il buio ci beveva a sorsi. Così.
Stretti per paura di esistere.
Era il periodo in cui eravamo tutti ancora morti. E non si sa perché alla fine siamo risorti.
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